SONO PASSATI TRE ANNI
di Jila Baniyaghoub
Sono passati tre anni, tre anni dal giorno in cui hanno arrestato me e mio marito (Bahman Ahmadi Amouee) in casa nostra. Era il 20 giugno, di notte. In seguito i vicini ci dissero che due macchine con otto agenti erano state in sosta poco lontano da casa nostra fin dalle 8 di sera.
Bahman era tornato a casa prima di me. Apparentemente, gli agenti stavano aspettando anche il mio arrivo. In quei giorni, sia Bahman che io eravamo pronti ad essere arrestati da un momento all’altro. In quei giorni eravamo pronti a tutto. Probabilmente eravamo anche pronti a morire.
Quella sera, gli agenti della sicurezza perquisirono la nostra casa. Misero tutto a soqquadro. Portarono via i nostri libri, i nostri CD, perfino i nostri vestiti e tante altre cose. Portarono tutto ciò a Evin, con noi.
La stessa sera, due agenti stavano seduti in una delle stanze, guardando con entusiasmo gli album delle nostre fotografie personali.
“Che diritto avete di sbirciare nelle foto private della gente?” – chiesi.
“Abbiamo un’autorizzazione religiosa per guardare qualsiasi foto”, rispose uno di loro, senza alzare la testa dall’album.
“Autorizzazione religiosa?” Ancora oggi, quando guardo un album di fotografie, quelle parole mi ronzano nella testa: “autorizzazione religiosa.”
Presero con sé molti degli album. Perfino gli album con le nostre foto di nozze. Che uso avrebbero potuto farne?
Nei primi giorni, fui posta in isolamento. Venivo interrogata dalle dieci alle dodici ore ogni giorno, talvolta anche diciassette o diciotto ore. L’inquirente era molto attivo e fortemente motivato. Veniva nella sezione 209 di Evin anche di venerdì (giorno festivo in Iran). Qualche inquirente era gentile, qualcuno rozzo; qualcuno era educato, qualcun altro maleducato…
Ma tutti erano soliti minacciarmi. Qualcuno usava le minacce in modo gentile, sorridendo mentre diceva: “Ti metteremo a morte! Vedrai. Non è come prima. Stavolta è molto diverso dalle altre volte che sei stata in prigione. Stavolta è come negli anni ’80. E tu sei colpevole di Moharebeh (guerra contro Dio).”
Qualche volta non credevo alle minacce, qualche volta sì. Apparentemente ero diventata superstiziosa. Mi dicevo: “Sono stata arrestata il 20 giugno. Il 20 giugno è un giorno fatale nella storia dell’Iran. In questo stesso giorno, nel 1981, molte cose accaddero. Dopo quel giorno, tanti furono messi a morte nelle prigioni iraniane.” Mi dicevo che forse lo stesso destino aspettava me e Bahman, che eravamo stati arrestati in un tale giorno.
Ho appreso solo in seguito che anche Bahman e molti altri prigionieri sono stati ripetutamente minacciati di morte dagli inquirenti.
Sessanta giorni dopo, sono stata rilasciata pagando una cauzione piuttosto elevata. Ma Bahman è ancora in prigione. Prima di essere trasferito alla sezione generale di Evin, ha passato tre mesi in isolamento. Una piccola cella, senza ventilazione e senza aria condizionata… Che estate difficile fu. Bahman sta ancora trascorrendo i suoi giorni e le sue notti in prigione. Bahman è solo un giornalista. Bahman è in carcere solo a causa dei suoi articoli critici nei confronti del governo. Bahman non ha commesso altro crimine se non quello di avere scritto quegli articoli.
Apparentemente, di questi tempi, scrivere articoli, specialmente articoli di critica, può essere il più grave dei reati.
Fonte: Blog di Jila Baniyaghoub