Secondo notizie provenienti dall’Iran, Saeed Sedighi e altri 9 prigionieri sono stati impiccati nel carcere di Evin, a Teheran, ieri mattina all’alba.
Iran Human Rights (IHR) condanna con forza le esecuzioni avvenute ieri. IHR ritiene queste impiccagioni “illegittime” perché le notizie ricevute indicano che i detenuti avevano confessato sotto tortura ed erano stati condannati a morte nel corso di processi-farsa, ognuno dei quali durato meno di mezz’ora.
Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce internazionale di IHR, ha detto: “Inviamo le nostre condoglianze alle famiglie dei condannati che sono stati messi a morte. I vertici delle autorità iraniane, in modo particolare la Guida suprema Ali Khamenei e il procuratore capo Gholamhossein Eje’ei, sono responsabili di queste esecuzioni e devono essere chiamati a risponderne.” Amiry-Moghaddam ha così proseguito: “Esortiamo la comunità internazionale a condannare con forza queste esecuzioni e ad agire per fermare quelle future. Esortiamo anche la delegazione del Parlamento europeo a cancellare la visita programmata in Iran per il 27 ottobre in segno di protesta per queste impiccagioni. Recarsi in Iran in questo frangente potrebbe inviare segnali sbagliati al regime.”
I media di stato iraniani hanno confermato la notizia. Secondo IRIB NEWS i prigionieri messi a morte ieri appartenevano a due diverse bande di narcotrafficanti: Farshid Rostami, Farhad Mashhadi Abolghasem, Ali Darvishi, Abbas Abbasi Namaki, Saeed Sedighi, Hami Rabiei e Mohammad Ali Rabiei facevano parte della prima: erano stati giudicati colpevoli per la detenzione di una tonnellata di “Shishe” (cristalli di metanfetamina) a Teheran. L’altro gruppo era stato condannato per il traffico di una tonnellata di oppio da uno dei porti meridionali del paese a Teheran. Erano stati identificati come: Alireza Molaei, Eshagh (Isac) Lorgi e Yousef Parmar.
Le esecuzioni di Saeed Sedighi e degli altri 9 condannati erano in programma martedì 11 ottobre, ma erano state rinviate a causa dell’attenzione internazionale.
Il 21 ottobre alle famiglie era stato detto di recarsi in visita dai loro cari nel braccio della morte per l’ultima volta. Iran Human Rights (IHR) e molte altre organizzazioni per i diritti umani avevano diffuso appelli urgenti e richiesto alla comunità internazionale di reagire.
La madre di Saeed Sedighi aveva concesso numerose interviste piangendo e implorando per la vita di suo figlio. Aveva anche scritto una lettera alla “comunità mondiale”. “Da quando il padre è morto – si legge nella missiva – Saeed è stato l’unica speranza della nostra famiglia. Dopo 10 mesi di dure torture subite in carcere, tra cui due mesi di isolamento, mio figlio è ora in attesa di essere impiccato. Chiedo alla comunità mondiale di salvare la vita di mio figlio”.