Lo scorso 10 luglio circa 30 membri e sostenitori di Reporter senza Frontiere e attivisti iraniani hanno manifestato davanti all’ufficio della compagnia aerea Iran Air sugli Champs Elysées, a Parigi, per protestare contro gli arresti arbitrari e le torture ai danni di giornalisti e attivisti on line iraniani, alcuni dei quali sono già deceduti in carcere e altri rischiano la vita.
Cinque dei manifestanti hanno recitato la parte dei giornalisti presi di mira dal regime. Si sono preparati come se fossero stati torturati, picchiati, con segni di frusta, nasi rotti, contusioni e hanno brandito cartelli con la scritta “detenzioni, torture, omicidi” e “libertà per i giornalisti iraniani”.
Il 10 luglio ricorreva il nono anniversario della morte della fotografa iraniana-canadese, Zahra Kazemi, deceduta in seguito ai maltrattamenti subiti da parte dei funzionari giudiziari nella prigione di Evin, a Teheran. I decessi come quello di Kazemi restano completamente impuniti nella Repubblica Islamica. Reporter senza frontiere chiede maggiore vigilanza poiché altri giornalisti potrebbero morire in carcere per mano dei loro aguzzini.
“Temiamo per la vita di alcuni giornalisti prigionieri ammalati, la cui salute fisica e psicologica è stata minata, e che sono detenuti nello stesso carcere o nelle stesse condizioni in cui si trovava Kazemi quando ha ricevuto il colpo che l’ha uccisa” afferma Reporter senza frontiere.
“Richiamiamo l’attenzione della comunità internazionale sui casi di Narges Mohammadi, Mohammad Seddigh Kaboudvand, Bahman Ahamadi Amouee, Arash Honarvar Shojai e Mohammad Solimaninya, e chiediamo il rilascio immediate e incondizionato di tutti quelli che sono stati arrestati per i reportage e le informazioni che hanno divulgato (un’attività legittima), o per aver esercitato il loro diritto di libera espressione”, aggiunge l’associazione per la libertà di stampa.
Cinque giornalisti e attivisti on line che rischiano la vita.
L’ex direttore di un quotidiano, Mohammad Seddigh Kaboudvand, è stato in sciopero della fame per più di 40 giorni per protestare contro il continuo e disumano rifiuto da parte delle autorità giudiziarie di consentirgli di visitare suo figlio, che è molto malato e che è ricoverato a Teheran.
Un tempo direttore di Payam-e Mardom-e Kurdestan (un quotidiano chiuso dalle autorità nel 2004), Kaboudvand è in carcere dal luglio del 2007 nella prigione di Evin, dove sta scontando una condanna a 11 anni per aver fondato una organizzazione per i diritti umani nel Kurdistan iraniano, a nord-ovest del paese. Le autorità carcerarie hanno anche ripetutamente ignorato le sue richieste di libertà condizionale per motivi di salute a causa di problemi al cuore.
Bahman Ahamadi Amouee, un giornalista detenuto nella prigione di Evin dal giugno del 2009, è stato trasferito, lo scorso 12 giugno, nel carcere di Rajai Shahr a nord della città di Karaj, dopo aver preso parte a una cerimonia organizzata dai detenuti della sezione 350 in onore di Hoda Saber, un giornalista che è morto il 12 giugno del 2011 come coseguenza dell’essere stato in sciopero della fame.
Rajai Shahr è una delle prigioni peggiori dell’Iran. Vi sono stati registrati molti casi di tortura, stupro e omicidio. Amouee è stato costantemente perseguitato dalle autorità giudiziarie fin dal suo arresto. Dopo essere apparso davanti al Tribunale rivoluzionario di Teheran il 25 giugno del 2012, è stato messo in isolamento e gli sono state negate le visite. La sua famiglia non ha avuto più sue notizie da allora. [Pochi giorni fa finalmente la moglie ha potuto vederlo, dopo 50 giorni senza visite, e lo ha trovato provato ma in buone condizioni di spirito. Attualmente Ahmadi Amouee è stato tolto dall’isolamento e trasferito nella sezione generale di Rajai Shahr n.d.r.].
Arash Honarvar Shojai, un teologo e blogger di 30 anni, è stato arrestato il 28 ottobre del 2010 a Teheran ed è stato condannato a quattro anni di prigione, a una multa di 800mila toman (53 euro) e a 50 frustate con l’accusa di gestire un blog blasfemo in forma anonima, accusa che egli nega. Arash Honarvar Shojai è in sciopero della fame dall’inizio di luglio per protestare contro le condizioni carcerarie. La sua famiglia è molto preoccupata poiché ha avuto diversi esaurimenti nervosi e le autorità carcerarie rifiutano di dargli le medicine di cui ha bisogno.
Reporter senza frontiere ha appreso il 30 giugno che Mohammad Solimaninya, responsabile del sito di social networking u24, è stato arrestato dopo essere stato convocato nella prigione di Evin. L’uomo era già stato arrestato il 10 gennaio di quest’anno e poi rilasciato su cauzione il 22 maggio, in seguito al pagamento di 40 milioni di toman (circa 4500 euro). La sua famiglia non ha avuto più sue notizie dal suo secondo arresto e le autorità si rifiutano di dire ai familiari dove è detenuto.
La giornalista e portavoce del Centro dei difensori dei diritti umani, Narges Mohammadi, è stata arrestata nel nord della città di Zanjan il 21 aprile ed è stata portata nella prigione di Evin, a Teheran, per scontare sei anni di carcere con l’accusa di propaganda anti-governativa, svolta collaborando con il Centro e “riunione e cospirazione contro la Repubblica islamica”.
Mohammadi è stata originariamente arrestata presso la propria abitazione nel giugno del 2010, ma ha avuto un esaurimento nervoso come conseguenza delle pressioni subite durante l’interrogatorio. Dopo che le fu concessa la libertà provvisoria nel luglio del 2010, fu ricoverata con una paralisi muscolare.
Anche se è ancora gravemente malata e nonostante frequenti problemi di cuore, lo scorso 16 maggio è stata trasferita da Teheran nella principale prigione di Zanjan, dove il direttore, su ordine del Ministero della Sicurezza, le ha negato la possibilità di essere ricoverata. Alla fine le è stato concesso il trasferimento all’ospedale Vali Asar di Zanjan, il 9 luglio scorso. Narges Mohammadi, le cui condizioni di salute si stanno rapidamente aggravando, non deve essere rimandata in prigione. Deve essere rilasciata il prima possibile.
La morte in carcere di Zahra Kazemi è ancora impunita
Il grado di impunità di cui godono i funzionari governativi iraniani è eccezionale. Zahra Kazemi, 54 anni, fotografa di origine iraniana che ha vissuto in Canada, è stata arrestata nel corso di una visita in Iran il 23 giugno 2003, perché stava fotografando le famiglie dei detenuti in attesa all’esterno del carcere di Evin. È stata duramente picchiata durante la detenzione ed è morta il 10 luglio 2003 per le ferite che le erano state inflitte. Le autorità hanno pubblicato un rapporto, 10 giorni dopo, in cui non si specificavano le cause del suo decesso.
Sotto costrizione, la madre di Kazemi, che risiede in Iran, ha accettato di seppellire frettolosamente la figlia il 22 luglio 2003. Da allora, il figlio di Kazemi, Stephan Hashemi, che vive in Canada, ha chiesto la riesumazione e il rimpatrio in Canada del corpo della madre per effettuare l’autopsia in modo indipendente.
Gli avvocati della famiglia Kazemi hanno ripetutamente condannato tutti i procedimenti giudiziari in Iran come una farsa. Le loro richieste perché alti funzionari della magistratura comparissero in tribunale a testimoniare non sono mai state soddisfatte, privandoli di testimoni chiave. In particolare, Saeed Mortazavi, il procuratore che ha ordinato l’arresto di Kazemi e che era presente quando è stata interrogata nel carcere di Evin, non è mai stato portato in tribunale. Protetto dai due predatori iraniani della libertà di informazione, l’Ayatollah Ali Khamenei e il presidente Mahmoud Ahmadinejad, egli gode di totale impunità e continua ad accrescere la sua influenza sotto il regime teocratico.
Reporter senza Frontiere ha sostenuto la causa civile che Hashemi ha intentato contro il governo iraniano dinanzi all’alta corte del Quebec, rivendicando danni per l’arresto di sua madre, la detenzione, le torture e la morte. L’associazione per la libertà d’informazione esorta il Canada e l’Unione europea a sostenere questa azione legale, con l’obiettivo di porre fine all’impunità in questo caso.
Tributo alle altre vittime del regime
L’ex redattore di Iran-e-Farda, Hoda Saber, un giornalista di 52 anni che era detenuto dall’agosto del 2010, è morto per un infarto il 12 giugno del 2011. Il giorno seguente, 64 prigionieri politici, detenuti nella sua stessa sezione della prigione di Evin, nel braccio 350, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che è stata fatta uscire clandestinamente dal carcere. “ Le autorità carcerarie – si affermava nella dichiarazione – non hanno fatto ciò che era necessario per trasferire in tempo Saber in ospedale. Egli è stato anche maltrattato dal personale infermieristico del carcere di Evin.”
Dieci giorni dopo Saber è morto. Egli aveva iniziato uno sciopero della fame contro la tragica morte di Haleh Sahabi, una collega giornalista e attivista per i diritti delle donne. Sahabi è morta poche ore dopo essere stata aggredita fisicamente il 1° giugno 2011, durante il funerale di suo padre, Ezatollah Sahabi, leader politico dell’opposizione che era morto per cause naturali due giorni prima. Testimoni oculari sono convinti che la sua morte sia stata causata dall’attacco che ha subito. A causa delle pressioni degli agenti della sicurezza, Sahabi è stata frettolosamente seppellita nella notte senza i tradizionali riti che normalmente accompagnano il funerale di una donna musulmana.
Alireza Eftekhari, un ex giornalista di 29 anni è morto il 15 giugno del 2009 a causa di un attacco celebrale, dopo essere stato picchiato. Il suo corpo è stato consegnato alla famiglia solo un mese dopo e le circostanze esatte della sua morte non si conoscono ancora. Il suo nome si aggiunge alla lunga lista di giornalisti che sono stati uccisi in Iran. È necessaria un’indagine per stabilire esattamente come è morto.
I responsabili della morte di quattro giornalisti nel 1998 – Majid Charif, Mohamad Mokhtari, Mohamad Jafar Pouyandeh e Pirouz Davani- devono essere ancora chiamati a risponderne. Allo stesso tempo, le autorità non hanno mai dato spiegazione su come Ayfer Serce, una giornalista turca di origine curda che lavorava per l’agenzia di stampa Firat, è stata uccisa dai soldati iraniani in un giorno tra il 20 e il 23 luglio del 2006 a Keleres, nella regione nord –occidentale dell’Azerbaijian iraniano. E, infine, è necessaria una indagine sulla morte in carcere, avvenuta nel 2009, del giovane blogger Omidreza Mirsayafi.
La Repubblica Islamica dell’Iran è la seconda prigione più grande al mondo per i fornitori di notizie, con un totale di 33 gionalisti e 19 blogger attualmente detenuti.
Fonte: Reporter senza frontiere