Dal nono rapporto annuale sulla pena di morte in Iran – curato dall’organizzazione per i diritti umani Iran Human Rights (IHR) – emerge che nel 2016 sono state messe a morte circa 530 persone nella Repubblica Islamica dell’Iran. Sebbene il dato registrato è significativamente inferiore rispetto al numero annuale di esecuzioni avvenute negli ultimi cinque anni, l’ Iran – con una media di più di una esecuzione al giorno – conserva il primato di paese con il più alto numero di pene capitali.
‹‹Accogliamo positivamente questa significativa riduzione dell’uso della pena di morte, – riferisce Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore e portavoce di IHR – tuttavia non ci sono elementi a sufficienza che indicano un cambiamento politico nella Repubblica Islamica dell’Iran a motivare una simile diminuzione. Stando alle nostre informazioni, nei soli primi due mesi del 2017 sono state messe a morte circa 140 persone››.
In occasione della presentazione del rapporto annuale sulla pena di morte in Iran 2016, le organizzazioni Iran Human Rights (IHR) e ECPM (Esemble contre la peine de mort) fanno appello ai paesi europei che hanno avviato un dialogo con l’Iran, affinché facciano pressione per richiedere una moratoria della pena capitale nel paese, e per maggiori riforme del sistema giudiziario nel rispetto degli standard internazionali.
Il rapporto si concentra con particolare attenzione sul ruolo dei tribunali rivoluzionari, quali fonti principali di arbitrarietà e violazioni nei procedimenti giudiziari. Sono proprio i tribunali rivoluzionari i responsabili della stragrande maggioranza di sentenze capitali emesse ed eseguite negli ultimi 37 anni in Iran. Stando ai dati del rapporto annuale di IHR, circa il 64% di tutte le esecuzioni avvenute nel 2016 e più di 3.200 registrate dal 2010, sono basate su sentenze emesse dai tribunali rivoluzionari. I tribunali rivoluzionari sono meno trasparenti di quelli pubblici, e i loro giudici sono noti per abuso del potere legale loro concesso. Processi lampo (di durata inferiore ai 15 minuti), impossibilità ad accedere ad una adeguata assistenza legale, sentenze basate su confessioni forzate e ottenute sotto tortura, sono la cifra caratteristica dei tribunali rivoluzionari.
Sull’assenza di processi equi Mahmood Amiry-Moghaddam afferma: ‹‹Una riduzione dell’uso della pena di morte che sia sostenibile, è purtroppo impossibile in presenza di procedimenti giudiziari iniqui. I tribunali rivoluzionari che condannano centinaia di persone a morte ogni anno, sono tra le principali istituzioni responsabili di gravi violazioni in Iran e vanno fermati››.
Il direttore esecutivo di ECPM, Raphaël Chenuil-Hazan, commenta: ‹‹Facciamo appello a tutti gli stati democratici e ai partner europei della Repubblica Islamica dell’Iran, perché vengano compiuti seri sforzi per ridurre la pena di morte nel paese, e perché i diritti umani vengano inclusi nei dialoghi bilaterali. Solo esercitando una costante pressione nel dialogo con l’Iran si potrà raggiungere ed ottenere un esito positivo››.
IHR e ECPM fanno appello anche alle autorità iraniane affinché rilascino immediatamente l’attivista ed avvocata Narges Mohammadi, condannata da un tribunale rivoluzionario a ben sedici anni di detenzione, dieci dei quali a causa di una campagna abolizionista da lei fondata e promossa. I gruppi e le associazioni per i diritti umani si uniscono all’appello perché si ponga fine alla repressione della società civile e ai procedimenti penali contro attivisti pacifici.