Cresce di nuovo la preoccupazione per lo stato di salute di Narges Mohammadi, vice-presidente e portavoce del Centro dei difensori dei diritti umani, prigioniera di coscienza nel carcere di Zanjan. Narges Mohammadi sarebbe stata violentemente picchiata durante alcuni scontri tra detenuti nella prigione di Zanjan e quindi trasferita nell’ospedale del carcere dove si trova da più di undici giorni in incommunicado. A riferirlo allarmato è il marito di Narges Mohammadi, Taghi Rahmani – a sua volta attivista costretto all’esilio – che ha rilasciato un’intervista all’ International Campaign for Human Rights in Iran.
A distanza di più di undici giorni dal suo trasferimento all’ospedale Valiasr, Narges Mohammadi non ha avuto ancora alcun contatto con il mondo esterno. Ai suoi familiari, come ai suoi due piccoli bambini, non è stato concesso di farle visita e accertare le sue reali condizioni di salute. Questo non fa altro che aumentare l’allarme e la preoccupazione sul suo stato. “Le sue condizioni devono essere davvero critiche se non è in grado nemmeno di vedere i suoi bambini” – sottolinea Taghi Rahmani.
Lo scorso 11 giugno Narges Mohammadi, condannata a scontare sei anni di detenzione per le sue attività in difesa dei diritti umani, viene trasferita senza alcuna ragione dal carcere di Evin (Teheran) a quello di Zanjan, dove non esiste una sezione o un braccio riservato ai prigionieri di coscienza.
“Narges soffre di paralisi muscolare e sappiamo che qualche giorno fa è stata trasferita nel reparto di Neurologia dell’ ospedale Shahid Beheshti, sempre a Zanjan. Tutto questo è ulteriore fonte di preoccupazione per noi” – dice il marito di Mohammadi . “Chiediamo con forza che a Narges venga concesso il diritto di ricevere visite dai familiari e che venga visitata e curata dai medici che seguono il suo caso da tempo. Non parla ai suoi bambini da circa undici giorni, questo significa che le sue condizioni sono davvero critiche e destano profonda preoccupazione. Chiediamo alle autorità di rispondere di una simile situazione – conclude Taghi Rahmani.
Fonte: International Campaign for Human Rights in Iran