Apertura a parole, ma chiusura nei fatti sul fronte dei diritti umani in Iran: è questo il quadro che emerge dal nono rapporto di Ahmeed Shaheed, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Iran.
Il dossier ricorda come le esecuzioni, nonostante le speranze riposte nel nuovo presidente moderato Hassan Rouhani, siano aumentate esponenzialmente dal 2005 ad oggi, raggiungendo il picco di 753 persone messe a morte nel 2014. Ma la situazione è ancora più drammatica se guardiamo all’anno in corso: dal 1 gennaio 2015 al 15 settembre hanno avuto luogo ben 694 esecuzioni e di queste 33 si sono state eseguite in pubblico.
Almeno il 69% delle esecuzioni verificatesi nei primi sei mesi del 2015 sono legate al traffico e possesso di droga, ritenuti reati “gravi” che mettono in pericolo la salute e la sicurezza del popolo iraniano e per questo puniti con la morte.
Secondo il rapporto di Ahmeed Shaheed, molte leggi continuano a minare il diritto alla libertà di espressione, associazione e riunione nella Repubblica Islamica dell’Iran. Fonti dell’Onu continuano a riferire notizie di detenzioni arbitrarie per il legittimo esercizio delle libertà fondamentali. Ad aprile del 2015 almeno 46 giornalisti e attivisti del web sono stati arrestati e condannati per le loro attività pacifiche. Giornalisti, scrittori, attivisti dei social media e difensori dei diritti umani hanno continuato a subire interrogatori e arresti da parte delle Guardie Rivoluzionarie e degli agenti della polizia postale e sono stati condannati per “propaganda contro lo Stato” “insulti all’Islam” e “attacco alla sicurezza nazionale”.
Nel maggio del 2015, un tribunale rivoluzionario ha condannato la vignettista Atena Farghadani a più di 12 anni di carcere per “assemblea e collusione contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro lo Stato” e “insulti alla Guida Suprema, al Presidente, ai membri del Parlamento e alle guardie della rivoluzione islamica”. La giovane donna è stata punita per aver raffigurato membri del Parlamento con le fattezze di animali e per il suo attivismo con le famiglie di detenuti morti in carcere durante le proteste post-elettorali, nel 2009.
Sempre nel maggio del 2015, Atena Daemi, giovane attivista per i diritti dei bambini, è stata condannata a 14 anni di carcere. Accusata di “assemblea e collusione contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro lo Stato”, “insulto alla Guida Suprema e al sacro” e “falsa testimonianza”, è stata messa sotto processo per delle barzellette e delle canzoni di protesta salvate sul suo telefono cellulare.
Problematica la questione dei diritti delle donne. Secondo Ahmed Shaheed, le discriminazioni di genere in materia di diritti civili, politici, sociali ed economici continuano ad oscurare i notevoli progressi nell’istruzione e nella salute delle donne iraniane. Stando ai dati del Word Economic Forum, aggiornati al 2014, l’Iran è il quintultimo Paese al mondo per la condizione femminile.
Permangono le discriminazioni nei confronti delle minoranze religiose. La Costituzione iraniana riconosce ufficialmente scuole islamiche non sciite, lo zoroastrismo, l’ebraismo e il cristianesimo come minoranze religiose. Per la legge, chi appartiene ai suddetti credo è libero di praticare e professare la propria religione. Tuttavia, il dossier indica che i membri di queste religioni subiscono numerose restrizioni e vengono processati per le loro manifestazioni pacifiche.
Almeno 74 membri della comunità Baha’i, religione non riconosciuta, si trovano in carcere (dati aggiornati a giugno 2015). I cristiani continuano a essere processati perché costituiscono delle chiese nelle loro abitazioni.
Nelle conclusioni del suo rapporto, il relatore speciale Onu sostiene di essere allarmato per il numero di esecuzioni che hanno luogo nella Repubblica islamica e chiede una moratoria della pena capitale per tutti i reati che non vengono considerati “tra i più gravi” dalle legge internazionali, facendo dunque riferimento al largo uso del boia per quanto riguarda i reati di droga, incluso il piccolo spaccio.