Keywan Karimi torna di fronte ai giudici per difendersi dalle accuse di aver “insultato il sacro”. La richiesta di appello è stata accolta e il giovane regista, condannato in primo grado a 6 anni di carcere e 223 frustate per un suo documentario sui graffiti di Teheran, sarà nuovamente ascoltato il 23 dicembre, presso la sezione 54 della Corte d’Appello di Teheran, presieduta dai giudici Pour-Arab e Babaei.
E’ lo stesso Keyman Karimi a confermarlo a Iran Human Rights Italia, aggiungendo che l’email che scrive potrebbe essere l’ultima, “poiché, se la sentenza viene confermata, nel giro di 24 ore in genere viene resa esecutiva”.
La condanna in primo grado di Karimi aveva suscitato grande indignazione nel mondo del cinema, dando il via a una mobilitazione internazionale per salvare il documentarista dal carcere.
L’ultimo appello è stato fatto il primo dicembre: una lettera firmata da 137 registi e documentaristi iraniani – incluso il premio Oscar Jafar Panahi – e diretta al ministero iraniano della Cultura. Qui di seguito il testo:
Siamo un gruppo di documentaristi e professionisti del cinema iraniano. Esprimiamo la nostra incredulità e sorpresa per la sentenza di primo grado nei confronti di Keywan Karimi, nostro collega e giovane documentarista. Speriamo sia fatta giustizia con l’appello alla sentenza e che Keywan possa portare le prove che lo scagionano dalle accuse.
Ribadiamo che i documentaristi iraniani, così come tutti gli altri lavoratori in ambito artistico e culturale, debbano a buon diritto poter dare vita alle proprie opere in un ambiente sicuro, sereno e senza il rischio di essere condannati per i propri lavori.
Keywan Karimi ha 30 anni ed è un musulmano sunnita curdo. Due minoranze, quella sunnita e quella curda, che in Iran subiscono forti discriminazioni e persecuzioni.
Fonte: Iran Human Rights Italia