Il regista iraniano Jafar Panahi, condannato dal regime di Teheran a non esercitare la sua professione per 20 anni, ha segretamente co-diretto “Closed Courtain”, un racconto di come le restrizioni nei confronti del suo lavoro lo hanno portato alla depressione e a pensare al suicidio. Il film, in gara al Festival di Berlino, è stato proiettato martedì, ma nessuno si aspettava Panahi sul tappeto rosso, nonostante gli organizzatori avessero fatto sapere che il governo tedesco avesse chiesto che al cineasta fosse permesso di viaggiare in quella occasione.
Il suo co-regista e connazionale Kamboziya Partovi ha partecipato alla conferenza stampa insieme all’attrice Maryam Moghadam, ma non è stato in grado di dire quali potranno essere le conseguenze della proiezione del film per Panahi o altre persone coinvolte. “Per il momento non è successo nulla – ha detto – ma non sappiamo cosa ci riserva il futuro”.
Panahi è noto in particolare per i film “Il Cerchio” (2000) e “Offside” (2006). Nelle sue pellicole, il regista ha parlato di diritti delle donne e opposizione politica al regime. Per questo motivo è diventato un bersaglio per le autorità iraniane. Nel 2010 è stato condannato a non girare film per 20 anni e a 6 anni di carcere. L’accusa era “propaganda contro il sistema”. Attualmente si trova agli arresti domiciliari.
“Closed Curtain” è la seconda opera di Panahi da quando il bando del regime è in vigore. Il primo – “This is not a film” (2011) – è stato fatto uscire dall’Iran all’interno di una penna USB nascosta all’interno di una torta.
Fulvia Caprara, inviata de La Stampa a Berlino, racconta qui la cronaca della proiezione.
Fonte: Reuters