Complotto contro il regime iraniano: è questa l’accusa a carico di Nazarin Zaghari-Ratcliffe, cittadina anglo-iraniana arrestata lo scorso 3 aprile.
Zaghari-Ratcliffe, coordinatrice di progetto per la Thomson Reuters Foundation, parte dell’agenzia di stampa dedicata alla beneficenza, stava tornando in Inghilterra con sua figlia di 22 mesi quando è stata arrestata all’aeroporto di Teheran. Era arrivata in Iran il 17 marzo per far visita alla sua famiglia.
Stando a quanto ha riferito il marito Richard Ratcliffe a International Campaign for Human Rights in Iran la donna è stata trasferita dal carcere di Kerman a Evin lo scorso 6 giugno, giorno in cui ha potuto incontrare la madre e sua figlia Gabriella. Il 9 giugno, in una telefonata alla famiglia, Nazarin aveva annunciato che a breve l’avrebbero rilasciata, ma subito dopo i suoi parenti sono stati contattati dalle autorità che hanno smentito quanto detto dalla donna.
In una dichiarazione del 15 giugno del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica della Provincia di Kerman si legge: ” Nazarin Zaghari-Ratcliffe stava partecipando, attraverso istituzioni e società straniere, alla progettazione e alla realizzazione di mezzi di comunicazione e progetti informatici che avevano come obiettivo il rovesciamento del regime islamico”. Secondo le istituzioni iraniane la donna “era a capo di una delle reti più ostili che ha operato negli ultimi anni, sotto la guida e il supporto dei media e dei servizi segreti di governi stranieri”.
Fonti del Ministero degli Esteri inglese hanno detto alla Reuters che il il governo britannico ha chiesto immediatamente informazioni alle autorità iraniane e ha sollevato il caso in tutte le sedi opportune.
Il marito di Nazarin, Richard, non crede più che la donna possa essere rilasciata a breve e sottolinea che, così come è accaduto per la moglie, anche altre donne con doppia cittadinanza - Nazak Afshar e Homa Hoodfar - sono state arrestate durante un periodo di vacanza in Iran.
Intanto, International Campaign for Human Rights in Iran ha pubblicato un rapporto sulle condizioni di detenzione delle donne nel carcere di Evin, a Teheran. Il documento raccoglie le testimonianze delle detenute e delle ex detenute della sezione femminile della prigione e evidenzia le sistematiche violazioni dei diritti fondamentali dei detenuti, diritti sanciti dalle stesse leggi iraniane. Le donne nel carcere di Evin sono circa 25 e, da quanto emerge, non hanno accesso alle adeguate cure mediche, hanno subito un processo iniquo e sono state tutte condannate solo per aver esercitato pacificamente il loro diritto alla libertà di espressione. Non possono telefonare e ricevere le visite dei familiari, mangiano cibo scadente e non hanno fonti di riscaldamento adeguate.
Dal 2005 nessun rappresentate delle Nazioni Unite o di altri organismi di controllo internazionale ha potuto visitare la sezione femminile di Evin o qualsiasi altro reparto della prigione.
Fonte: International Campaign for Human Rights in Iran