517 persone messe a morte nel 2017 nella Repubblica Islamica dell’Iran: è quanto emerge dal decimo rapporto annuale sulla pena di morte in Iran presentato da Iran Human Rights. Un dato molto simile al bilancio del 2016 che fa registra una significativa diminuzione del numero di esecuzioni annuali rispetto al periodo compreso tra il 2010 e il 2015. Tuttavia l’Iran – con una media di più di una esecuzione al giorno – conserva il primato di paese con il più alto numero di messi a morte.
Il 45% delle esecuzioni avvenute nel 2017 (circa 231 persone) è legato ai reati di droga: nei soli mesi di gennaio e luglio sono state messe a morte circa 120 persone per narcotraffico. Tuttavia, decisivo e in grado di segnare un nuovo corso, è l’ emendamento introdotto – e definitivamente approvato dal Parlamento – all’articolo 46 della legge sul narcotraffico, grazie al quale è possibile revocare la pena capitale per alcuni reati e commutarla in pena detentiva. Nello specifico, secondo il nuovo disegno di legge, la sentenza capitale a carico di contrabbandieri e narcotrafficanti (sono escluse le grandi organizzazioni criminali) che risultano essere disarmati e senza precedenti condanne, potrà essere commutata in una pena detentiva che oscilla dai 25 ai 30 anni: è quanto dichiarato lo scorso aprile da Norouzi, portavoce della Commissione giudiziaria e legale del Parlamento, in una intervista rilasciata all’Islamic Consultative Assembly News Agency.
In agosto il parlamento iraniano ha approvato misure che innalzano la soglia per la pena capitale per persone in possesso di 50kg di oppio, 2 kg di eroina o 3 kg di metanfetamine. Secondo le misure legislative precedenti era sufficiente il possesso di 5 kg di oppio e 30g di eroina per rischiare una condanna a morte. Tutto questo si traduce nella possibilità di salvare migliaia di persone nel braccio della morte. Le vite di più di 5.000 prigionieri, per la maggior parte di età compresa tra i 20 e i 30 anni, potrebbero essere risparmiate visto che le misure approvate hanno effetto retroattivo e includono una revisione dei casi giudiziari. Di fatto, da quando il presidente Rouhani ha sottoscritto a novembre il nuovo emendamento, nessun detenuto è stato messo a morte per reati legati al narcotraffico. Il provvedimento è inoltre ufficialmente entrato in vigore il 9 gennaio, quando il capo della magistratura iraniana, Sadeq Larijnai, ha ordinato la sospensione di tutte le esecuzioni dei detenuti che potrebbero beneficiare delle nuove direttive, la revisione dei loro casi e una eventuale commutazione di pena.
Nel 2017 si è di fatto registrata una diminuzione del 22% (65 persone), rispetto al 2016, di esecuzioni legate ai reati di droga. “Accogliamo positivamente il nuovo emendamento introdotto dal Parlamento iraniano – riferisce Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore e portavoce di IHR -. Un cambiamento politico importante che potrebbe rappresentare il primo significativo passo per l’abolizione della pena di morte per i tutti i reati di droga”.
Non diminuisce, tuttavia, il numero totale delle esecuzioni a causa soprattutto di un significativo incremento di pene capitali legate al reato di omicidio (qisas): il 46% delle esecuzioni annuali, circa 240 persone messe a morte per questa tipologia di reato (98 persone in più rispetto al 2016). Per la prima volta dal 2009 le esecuzioni per i reati di omicidio hanno superato quelle legate al narcotraffico, con un incremento del 69%.
Sono cinque i rei minorenni (tre solo dall’inizio del 2018) messi a morte. Nonostante l’Iran abbia ratificato – oltre 20 anni fa – la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, sono circa 89 i rei minorenni attualmente in attesa di esecuzione nel braccio della morte. Continuano le esecuzioni in pubblico a cui spesso assistono anche bambini: IHR ne ha accertate almeno 31 nel 2017.
Il rapporto riserva particolare attenzione al ruolo dei tribunali rivoluzionari, quali fonti principali di arbitrarietà e violazioni nei procedimenti giudiziari. Sono proprio i tribunali rivoluzionari i responsabili della stragrande maggioranza di sentenze capitali emesse ed eseguite negli ultimi 37 anni in Iran. Stando ai dati del rapporto annuale di IHR, circa 254 esecuzioni avvenute nel 2017 e più di 3.400 registrate dal 2010, sono basate su sentenze emesse dai tribunali rivoluzionari. I tribunali rivoluzionari sono meno trasparenti di quelli pubblici, e i loro giudici sono noti per abuso del potere legale loro concesso. Processi lampo (di durata inferiore ai 15 minuti), impossibilità ad accedere ad una adeguata assistenza legale, sentenze basate su confessioni forzate e ottenute sotto tortura, sono la cifra caratteristica dei tribunali rivoluzionari.
In occasione della presentazione del rapporto annuale sulla pena di morte in Iran 2017, le organizzazioni Iran Human Rights (IHR) e ECPM (Esemble contre la peine de mort) hanno fatto appello ai paesi europei che hanno avviato un dialogo con l’Iran, affinché facciano pressione per richiedere una moratoria della pena capitale nel Paese, e per maggiori riforme del sistema giudiziario nel rispetto degli standard internazionali.
Sull’assenza di processi equi Mahmood Amiry-Moghaddam afferma: “Una riduzione dell’uso della pena di morte che sia sostenibile, è purtroppo impossibile in presenza di procedimenti giudiziari iniqui. I tribunali rivoluzionari che condannano centinaia di persone a morte ogni anno, sono tra le principali istituzioni responsabili di gravi violazioni in Iran e vanno fermati”.
“ Il drammatico caso di Ahmadreza Djalali e dei difensori dei diritti umani, è sintomatico dell’uso della pena di morte con finalità politica, e del timore che il regime nutre nei confronti di intellettuali, ricercatori, docenti, avvocati. Facciamo appello a tutti gli stati democratici e ai partner europei della Repubblica Islamica dell’Iran, perché vengano compiuti seri sforzi per ridurre la pena di morte nel Paese, e perché i diritti umani vengano inclusi nei dialoghi bilaterali” – conclude Raphaël Chenuil-Hazan, direttore esecutivo di ECPM.