Molti giornalisti stranieri che avevano fatto richiesta di visto d’ingresso in Iran per seguire le elezioni del 14 giugno si sono visti respingere la domanda. Lo denuncia l’International Campaign for Human Rights in Iran, che cita come fonte quattro giornalisti (non nominati) che, nonostante avessero presentato la loro domanda anche due mesi fa, hanno dovuto aspettare fino alla settimana scorsa per ottenere una risposta, che è stata negativa senza alcuna spiegazione sui motivi del rifiuto.
Secondo un reporter a cui il visto è stato negato, e che ha chiesto di restare anonimo, uno dei fattori che hanno contribuito all’accoglimento o meno della domanda di visto sono stati i precedenti servizi e reportage fatti durante altri viaggi in Iran. Un altro giornalista che ha invece ottenuto il visto, ha detto che gli è stato concesso un visto per una settimana, e che data l’imminenza delle elezioni e il ritardo nella risposta sulla concessione del visto, non potrà trattenersi a Teheran per più di 48 ore dopo le elezioni. “Ci hanno detto che durante il nostro soggiorno a Teheran non potremo lasciare la città. Ci è stato assegnato un traduttore che dovrà essere sempre presente durante la nostra permanenza e durante le nostre interviste alla gente” – ha detto questo giornalista.
Alcune importanti agenzie di stampa hanno detto ai loro collaboratori di fare attenzione allo stile delle notizie e ad evitare di fornire informazioni alle organizzazioni per i diritti umani o anche ad altri giornalisti, per non mettere a repentaglio la loro presenza in Iran.
Il quotidiano britannico The Guardian, solitamente molto attento alle vicende iraniane, in particolare a quelle relative alle violazioni dei diritti umani (caso pressoché unico nella stampa europea e americana) conferma che questa è la situazione in Iran nei giorni delle elezioni. E lo fa da un punto di vista speciale, quello delle principali testate britanniche che, date le pessime relazioni in corso tra Londra e Teheran (entrambe le ambasciate nei rispettivi paesi sono chiuse), non hanno ottenuto alcun visto per seguire le elezioni in loco, salvo quello concesso a Jon Snow di Channel 4, che nel 2009 aveva già intervistato Mahmoud Ahmadinejad, il presidente uscente. La richiesta di visto del Guardian, racconta in un articolo Ian Black, è stata respinta sulla base di quello che fonti di Teheran descrivono come un “divieto assoluto” nei confronti dei media del Regno Unito. Black ricorda anche la profonda ostilità del regime iraniano nei confronti della BBC Persian, il canale in lingua farsi della televisione pubblica britannica, molto popolare tra gli iraniani nonostante l’impossibilità di operare all’interno del paese. Lo staff e i loro parenti hanno spesso subito intimidazioni e minacce da parte delle autorità iraniane (e l’anno scorso una serie di documentaristi e film maker iraniani erano stati arrestati con l’accusa di collaborare proprio con BBC Persian).
Il Financial Times, il New York Times e il Washington Post – ricorda anche Black – hanno a Teheran corrispondenti che sono spesso costretti a lavorare sotto severe limitazioni. E solo pochissimi visti sono stati concessi a testate statunitensi. L’articolo del Guardian cita anche Kelly Niknejad di Tehran Bureau, che ha una rete di corrispondenti anonimi all’interno dell’Iran: “Le autorità iraniane – dice Niknejad – hanno sempre usato il loro potere di concedere un visto e di accreditare la stampa come strumento per costringere i giornalisti all’obbedienza.”
Jason Stern, del Committee to Protect Journalists, racconta come funziona il lavoro dei reporter stranieri in Iran. Tutti devono lavorare con faccendieri approvati dal governo. La maggior parte dei giornalisti li trova per mezzo di “compagnie di servizi per media” che promettono di aiutare i giornalisti internazionali a muoversi nei meandri della burocrazia iraniana per procurarsi visti, permessi di lavoro, interpreti, autisti, tecnici e anche per organizzare interviste. Queste compagnie sono spesso formate da ex-funzionari governativi che cercano di fare facili affari grazie ai loro agganci. Per le testate più importanti e ricche, le spese di queste compagnie sono elevate, ma accettate come necessarie. Per i freelancer sono proibitive. Secondo i giornalisti stessi, queste compagnie agiscono anche come un servizio di intelligence privatizzato per il governo, riportando alle autorità le attività dei loro clienti – dove vanno, chi intervistano, cosa dicono. Stern stesso ne ha contattate alcune per ulteriori informazioni, ma gli è stato risposto di rivolgersi direttamente al Ministero della cultura.
Da parte sua Reporter Senza Frontiere, in un comunicato, condanna l’aumento delle persecuzioni contro i giornalisti iraniani nei giorni che precedono le elezioni e le restrizioni imposte ai pochi giornalisti stranieri autorizzati ad entrare nel paese
Le autorità iraniane, sottolinea RSF, non hanno rilasciato il visto alla grande maggioranza dei giornalisti stranieri che ne avevano fatto richiesta e molte testate si sono viste respingere la loro richiesta.
In un’intervista a France Culture del 10 giugno, Ali Ahani, ambasciatore iraniano in Francia, ha detto che le autorità iraniane hanno ricevuto oltre 1000 richieste di visto (in precedenza il Ministro della cultura e guida islamica, Mohammad Hosseini, aveva fatto sapere che, al 28 maggio, le richieste erano state circa 200), e che di queste 100 provenivano dalle sole testate francesi. Vagliare le domande per i visti prende tempo – ha sostenuto l’ambasciatore, ma il consolato iraniano a Parigi ha rilasciato 30 visti per la stampa.
RSF afferma di avere appreso che ai giornalisti stranieri che hanno ottenuto un visto e che sono in questi giorni in Iran è stato impedito di muoversi liberamente per la capitale e che è stato loro vietato di seguire raduni e comizi dei candidati sostenuti dai riformisti, così come di contattare esponenti dell’opposizione o le famiglie dei prigionieri politici.
Un altro giornalista che preferisce restare anonimo ha detto a RSF: “Ogni volta che esci, hai bisogno del permesso del ministero della cultura e guida islamica (l’Ershad). Devi dirgli chi vuoi vedere, dove e quando. E, per colmare la misura, sei controllato a vista dagli interpreti imposti dal governo.”
Reporter Senza Frontiere denuncia anche l’arresto di altri due giornalisti iraniani negli ultimi otto giorni. Si tratta di Omid Abdolvahabi, giornalista con sede a Tehran per il quotidiano Mardomsalari, è stato arrestato il 4 giugno, mentre Hesamaldin Eslamlo, responsabile della cultura del settimanale Parsargard nella città sud-orientale di Sirjan, è stato arrestato l’8 giugno. Non si conoscono né le ragioni dei due arresti, né dove siano tenuti i due reporter, con i quali il numero di giornalisti e netizen attualmente detenuti in Iran è salito a 54.
Al tempo stesso RSF ricorda che sin dal 15 maggio scorso la velocità delle connessioni Internet è stata rallentata, con il risultato che è spesso difficile e talvolta impossibile essere online. Molti siti web, tra ci anche i siti di agenzie di stampa ufficiali, sono stati bloccati dal Gruppo di lavoro per determinare i contenuti criminali. Per esempio l’agenzia Mehrnews è rimasta bloccata per varie ore prima di ridiventare accessibile dopo l’intervento del procuratore generale. E circa 100 giornalisti che lavorano per media di stato (quindi non per testate riformiste, ma per organi d’informazione vicini al governo) hanno scritto una lettera aperta per protestare contro “l’assolutamente illegale intensificazione dei blocchi dei siti di notizie online.” L’8 giugno, inoltre, l’agenzia di stato ISNA (Iranian Students’ News Agency) ha confermato “l’interruzione e l’inaccessibilità” del servizio Gmail.
Intanto, conlude RSF, il ministero della sicurezza continua a perseguitare le famiglie dei giornalisti iraniani impiegati in testate con sede all’estero. Arman Mostofi, direttore di Radio Farda, radio in lingua farsi con sede a Praga, ha recentemente diffuso un comunicato di condanna contro le intimidazioni subite in Iran dai parenti di nove dei suoi redattori.
Fonti: International Campaign for Human Rights in Iran, The Guardian, Committee to Protect Journalists, Reporter Senza Frontiere