Narges Mohammadi, vice-direttore del Centro dei difensori dei diritti umani di Teheran, ha scritto una lettera dalla prigione di Zanjan, descrivendo il suo dolore e la sofferenza di una madre strappata ai suoi figli (nel suo caso, due gemelli di 5 anni). Si tratta di una lunga e intensa meditazione sul senso della maternità, da cui traspare uno stato di profonda prostrazione e sofferenza.
Narges Mohammadi sta scontando a Zanjan una condanna a 6 anni di detenzione. La lettera, che è stata scritta il 1° giugno, è stata pubblicata nei giorni scorsi da Advar News.
Questo il testo:
Sono un’attivista per i diritti umani, la mia preoccupazione e la mia lotta è stata rivolta a migliorare la situazione dei diritti umani in qualsiasi luogo del pianeta.
Non ho alcuna intenzione di acquistare potere o posizioni importanti. Accompagno il mio debole corpo con i miei pensieri e il mio cuore su una strada in cui io possa suscitare un sorriso sulle labbra di qualcuno o dargli affetto e amore.
Questa è la mia speranza, questo è il mio desiderio, e la ragione per cui sono viva. Anche se sono in grado di restituire solo un sorriso o di aiutare nel modo più marginale un essere umano come me, sento di avere vinto la mia lotta.
Queste sono le parole scritte con il cuore da una madre che cerca di spiegare il senso del suo essere madre. Eccomi qui, in prigione. Quattro alte e severe pareti. Sto seduta tra queste quattro pareti. Ho dispiegato il mio amore e disteso l’abito di preghiera. Sto stringendo al petto le parole divine.
Mi sento come se la madre di Mosè e la madre di Cristo fossero mie compagne e condividessimo la stessa pena. Sebbene la madre di Mosè lungo il Nilo, e la Madre Maria, trovando riparo presso il tronco di una palma, lontano dagli sguardi della gente, gridassero: “Oh, vorrei essere morta e caduta nell’oblio!” (Salmo 23).
E perché io, seduta in prigione, in Iran, sto parlando di tempo e di luogo? C’è mai stato un diverso significato della maternità durante altri periodi della storia? E’ esso cambiato?
No, non credo che sia mai cambiato. La maternità ha un valore e un significato eterni nella storia.
Apro il Salmo di Al-Qasas, e sento il tumulto dentro di me. La storia della madre di Mosè descrive in pieno il senso dell’essere madre.
“Abbiamo rivelato alla madre di Mosé: allattalo e poi, quando avrai paura per lui, abbandonalo all’acqua. Non avere timore e non affliggerti. Noi lo faremo tornare da te e faremo di lui uno degli Inviati.”
E lei lo pose in una cesta e lasciò la cesta sulle acque del fiume. Queste parole sono la rivelazione divina elargita a una madre. In realtà, è possibile nutrire nel cuore qualche dubbio, su queste parole?
Rifletto per un momento. Come potrebbe la madre di Mosè sentire disperazione ora che Dio stesso le ha parlato, e che le è stato promesso che Mosè ritornerà al suo seno, e che ritornerà come Inviato?
Tuttavia, pochi salmi dopo, viene rivelato un segreto che sembra essere la ragione di tutta questa storia.
“Infine, al mattino, il cuore della madre di Mosè si svuotò; ella avrebbe rivelato il segreto se Noi non avessimo reso forte il suo cuore perché fosse una dei credenti.” (Al-Qasas 10)
La madre di Mosè ricevette la parola divina, ma nemmeno le parole di Dio guarirono il suo cuore.
Pensavo tra me e me: o Dio, come è possibile che nonostante la promessa e le rassicurazioni che tu hai dato alla madre di Mosè, lei fosse così affranta?
Sì, è in questo frangente che io comprendo il senso della maternità e, secondo me, è in questo frangente che Dio stesso ci dà il senso della maternità.
Una pena che, persino con la promessa di Dio, non può guarire; la pena che è la pena di una madre. Anche se lasci tuo figlio al sicuro tra braccia piene di amore, non puoi spegnere le fiamme che bruciano nell’animo di una madre; anche se quelle braccia sicure e piene di amore sono le braccia di Dio.
Oh, io non ho dubbi su cosa Dio stesse pensando. Pensava: ho creato la compassione e ho detto: “Voi siete compassionevoli e io sono misericordioso, e io ho instillato in voi parte della mia compassione.” (Da un racconto del Profeta)
Sì, Dio ha donato al grembo di una madre una parte della sua compassione, e questo amore e questa compassione si manifestano nella storia della madre di Mosè.
Dovremmo aspettarci qualcosa di diverso dalla madre di Mosè, considerato l’amore profondo e la compassione che Dio ha donato alle madri?
Dio comprese benissimo, e sa perfettamente cosa l’amore di una madre le causerà quando sarà costretta ad essere separata da suo figlio. Come si sentirà in fiamme, bruciando nell’intimo.
Perciò Egli ha lasciato che questo amore e questa compassione prendessero la madre di Mosè al punto da farla diventare talmente affranta che avrebbe voluto rivelare un segreto che è un comandamento divino e una missione stabilita per volere divino che porrà la sua stessa vita in pericolo.
Sì, persino se la madre di Mosè avesse gridato rivelando quel segreto, non avrebbe commesso peccato. Tuttavia, Dio rende il cuore di questa madre abbastanza forte da far sì che ella non urli svelando il segreto.
E Dio ebbe a dire: “Avevamo già proibito alla madre adottiva di allattarlo” (Al-Qasas 12), così che “Lo abbiamo riportato a sua madre per confortare i suoi occhi e perché non debba più soffrire, e perché sappia che la promessa di Dio è vera.” (Al-Qasas 13).
Ora, io penso che quando Dio, perfino per una così importante missione del profeta, non permette la separazione di una madre da suo figlio, e resistituisce il figlio alle braccia affettuose di una madre che è piena della divina compassione, come possono loro separare dei figli innocenti dalle braccia affettuose della loro mamma e metterla in prigione?
E’ giusto e degno dell’abbraccio di una madre che lei venga privata dei figli, così che l’angoscia della separazione, come un fuoco bruci la sua anima e il suo corpo, rendendola un cumulo di cenere?
Ahimé, un simile trattamento non è comune in nessuna religione né scuola di pensiero dell’umanità.
Nella mia cella, non ho altra compagnia che la parola di Dio (il Corano). E naturalmente pregare con Dio è abbastanza per me. Se non fosse per questo, sarei diventata pazza per il dolore della separazione da Ali e Kiana.
Apro il libro della Parola di Dio, e di nuovo una parola in “Al-Qeyaamah” (Resurrezione) descrive per me il significato della maternità.
Certamente Dio il misericordioso, con questa parola, costruisce l’immagine di una “Madre” e descrive il suo significato.
Dio ci parla della resurrezione. I salmi di Dio ci mostrano la profondità e la maestà di questa rivelazione divina e dipingono un quadro ancora più concreto di questo evento per la gente.
Dio usa simboli ed esempi che noi vediamo e sentiamo tutti i giorni e con i quali abbiamo familiarità. Quando sarà il giorno della Resurrezione? Che cos’è la Resurrezione? “E la luna si eclissò.” (Al-Qeyaamah 8).
“Quando le stelle smetteranno di brillare e si spegneranno.” (Al-Mursalat 8). “Quando il cielo si fenderà.” (Al-Mursalat 9). “E quando le montagne verranno disperse.” (Al-Mursalat 10). (Al-Mursalat, Le inviate).
Queste parabole erano sufficienti a descrivere la profondità dell’avvenimento. Ma, all’improvviso, Dio, in una frase, per rappresentare il giorno del giudizio dei suoi servi, che chiaramente illustra un’immagine della resurrezione, dice: “Il giorno in cui una madre abbandonerà suo figlio.”
Penso tra me e me: Dio usa ogni esempio per mostrare la durezza e la difficoltà del giorno del giudizio. E completa il quadro realistico di quel giorno con la storia di una madre che abbandona suo figlio.
Dio il misericordioso dice con chiarezza che una madre in nessuna circostanza, nemmeno nel dolore, nella sofferenza o di fronte alla morte abbandonerà suo figlio, ma per farci capire quanto terrore proveremo nel giorno del giudizio, dice che perfino una madre abbandonerebbe suo figlio.
Sì, questo ha un doppio significato, e Dio, per mostrare l’intensità del dolore della separazione di una madre, usa la resurrezione e il giorno del giudizio. E anche, per mostrare il senso di soggezione e la maestà della resurrezione, parla del grande dolore della separazione di una madre. ed entrambi gli esempi portano alla nostra attenzione il significato della maternità.
Cos’altro posso dire, e cos’altro posso scrivere, questo è il vero significato della “Maternità”.
Abbasso la testa e accosto la mia fronte al pavimento. Dio, che cosa hai fatto tu di me, una “Madre”? Come mi hai creato? Che cosa hai fatto tu di noi, quando hai instillato nei nostri grembi la tua compassione?
Adesso, tu puoi sentire i miei gemiti e i miei lamenti. Le mie lacrime scorrono, così che faccio fatica a vedere. Leggo una scritta sulla parete della cella: “O madre, è passato un mese da quando ti ho visto.”
Poggio la testa sulla parete della cella e comincio a singhiozzare. Dio, sto parlando con te, non con la tua gente. Sei tu che mi hai creato, che hai instillato in me un amore immenso per i miei figli, e che mi hai dato due figli allo stesso tempo.
Li hai lasciati dentro di me per nove mesi; respiravamo come se fossimo una cosa sola. Per giorni e per notti li hai nutriti e sfamati nelle mie braccia. Loro hanno adesso cinque anni e hanno bisogno del mio abbraccio, e nemmeno loro padre può stare con loro. E adesso che le mie braccia sono svuotate dei miei figli, loro, senza genitori, tengono accesa la luce nella mia casa.
O Dio, io ti chiedo, nel nome della madre di Mosè, nel nome della sofferenza di Maria e della pena che dovette sopportare, nel nome di Khadijeh e Fatemeh che portano il sorriso sulle labbra e calore e amore al cuore del profeta; metti la tua mano sul mio cuore e tienilo sempre più forte.
Lo giuro sul momento in cui la madre di Mosè sentì la voce di Dio e pose suo figlio nel fiume, ma non potè resistere al dolore della separazione e Dio mantenne saldo il suo cuore: ora, in questo momento, io sento le mani di Dio sul mio cuore, ma cosa posso fare, sono una madre e non posso essere consolata.
Dico a me stessa, proprio come fece Maria, vorrei essere morta ed essere dimenticata a partire da ora. Dico a me stessa, Narges, abbi pazienza, per amore di Dio abbi pazienza. Ma non riesco. Mi alzo di nuovo, levo le mie braccia al cielo e singhiozzo, e chiedo a Dio, per favore, nel nome della madre di Mosè, qualsiasi prudenza tu abbia usato per restituire Mosè alle sue braccia, ora volgi lo sguardo alle mie braccia vuote che muoiono dal desiderio dei miei figli.
Dio, ascolta i miei singhiozzi, e vedi che non posso resistere ancora a lungo. Dio, vieni, vieni e siedi accanto a me. Parlo di amore, ma con dolore e sofferenza. Una sofferenza che mi ha fatto ammalare gravemente. Sto scrivendo con le mani ferite perché non mi reggo in piedi e cado a terra.
Eppure, dobbiamo parlare e scrivere di amore. Quell’amore che è l’amore materno, e quel dolore che è il dolore di una madre separata dai suoi figli.
Voglio confidarti una piccola parte di questa pena, sebbene sia per me molto difficile farlo.
Nel giugno 2010, sono stata arrestata subito dopo aver portato a casa mia figlia dall’ospedale dopo un serio intervento chirurgico. Gli agenti mi stavano tenendo d’occhio. Era l’ora di mettere i bambini a letto. Presi Ali in braccio, gli diedi la sua bottiglia e cantai una ninnananna. Si addormentò. Invece non riuscivo a consolare Kiana.
Ogni volta che dovevo andarmene, Kiana, con la voce tremante e piangendo mi diceva: “Mamma dammi un bacio.” Dopo aver fatto questo per tre volte, me ne andai con molta pena.
Il mio corpo era sulla strada della prigione, ma il mio cuore sentiva quel pianto sanguinoso dentro di sé. Non so come scrivere di più. Scrivere tra queste quattro pareti, in questa stretta cella, con gli occhi pieni di lacrime e con le mani che mi tremano, non è che un’agonia.
Eppure devo urlare questo dolore, così che forse un’altra madre non dovrà sopportare questa pena e questa prova.
In prigione, ho contratto malattie neurologiche e psicologiche. Ero una donna in salute, ma quando ritornai dai miei figli (fui rilasciata in congedo) prendevo 18 pillole al giorno dopo essere stata ricoverata in ospedale per 12 giorni.
Purtroppo il mio tempo trascorso con i figli è stato molto breve. Il 21 aprile 2012 gli agenti si sono presentati sulla soglia di casa mia. Ali e Kiana hanno ora cinque anni e Ali ormai ha paura quando me ne vado, anche se è solo per uscire a fare qualcosa.
Ali va nel panico, afferra rapidamente la sua pistola giocattolo gialla, si precipita accanto a me, mi prende per mano e dice: “Mamma, vengo con te.”
Cosa posso dirti del momento della separazione e delle lacrime che scorrevano sulle guance dei miei bambini?Questa penna che si muove è come se succhiasse la mia vita fuori di me.
Non è facile per me scrivere, ma scriverò perché questo forse possa non ripetersi per un altro bambino.
Sono una madre separata dai suoi figli. Sono in condizioni di salute disastrose. Ti ho parlato della madre di Mosè e ho gridato il mio dolore per dirti che “La forza dell’amore materno trascende qualsiasi altra forza.”
La fonte di questa forza è l’amore e l’affetto che Dio ha instillato dentro di noi da se stesso. Privare i figli di questo genere di amore e far soffrire una madre in questo modo è un peccato imperdonabile.
E io, con grande speranza, ho scritto dall’interno delle quattro pareti di questa prigione così che, con la grazia di Dio, molto presto, in questa terra e in ogni altro paese sulla Terra, questo dolore possa finire.
Ho fede che verrà un giorno, anche se io non ci sarò più, in cui l’amore scaturito da queste sofferenze renderà migliore il futuro dei miei bambini, di tutti i bambini dell’Iran, e di tutto il mondo.
Con molta gratitudine e rispetto,
Narges Mohammadi
1° giugno 2012