Domenica 21 febbraio è stata notificata la sentenza definitiva al cineasta curdo iraniano Keywan Karimi. La Corte d’appello di Teheran, presieduta dai giudici Pour-Arab e Babaei, ha condannato Karimi a un anno di carcere, 223 frustate e al pagamento di 20 milioni di rial (poco meno di 600 euro).
A circa due mesi dall’udienza d’appello, tenutasi lo scorso 23 dicembre, arriva il verdetto finale. Dalla lettura della sentenza si apprende che dei 6 anni di carcere a cui era stato condannato in primo grado, ne resta da scontare uno. Intatta, invece, la condanna a 223 frustate a cui si aggiunge anche il pagamento di una multa.
“L’unica cosa che possiamo sperare, per ora, è che io sia chiamato in carcere il più tardi possibile, almeno dopo il Capodanno iraniano (20 marzo), o metà aprile quando avrò finito di girare il mio ultimo film e mia mamma avrà terminato il suo ciclo di chemioterapia”, così commenta la sentenza a suo carico il cineasta Keywan Karimi.
“Sebbene la condanna, che in primo grado era a sei anni di detenzione, sia stata ridotta ad uno, è inaccettabile che Keywan Karimi finisca in carcere per i suoi film e subisca torture fisiche e psicologiche per il suo lavoro”, afferma Cristina Annunziata, presidente di Iran Human Rights Italia.
“È impensabile che paghi un prezzo così alto per aver esercitato il suo diritto alla libertà di espressione. La sentenza è definitiva e senza possibilità di appello, ma non dobbiamo spegnere i riflettori sul caso del giovane regista, condannato per il suo cinema impegnato e di denuncia. È fondamentale che la mobilitazione internazionale, che ha visto coinvolti nomi e volti del cinema, continui, e che l’indignazione si trasformi in solidarietà e azione concreta per evitare che Keywan Karimi entri in carcere”, conclude Annunziata.
IHR Italia continuerà a mobilitarsi per salvare Keywan Karimi dal carcere e dalle frustate e affinché le accuse a suo carico cadano definitivamente.
Il caso giudiziario di Keywan Karimi
Il 13 ottobre 2015 un tribunale di Teheran ha condannato in primo grado Keywan Karimi a 6 anni di carcere e 223 frustate. Il giovane regista, noto a livello internazionale per il cortometraggio “L’avventura di due sposi”, basato su una novella di Italo Calvino, è stato accusato di “aver offeso le istituzioni sacre dell’Iran” attraverso i suoi film.
Tutto comincia il 14 dicembre 2013, quando la polizia fa irruzione in casa del filmmaker con un mandato di arresto. Lo prelevano, confiscando i suoi hard disk e altro materiale, e lo portano in carcere, dove è interrogato e tenuto in isolamento per due settimane. L’accusa a suo carico è di aver insultato il regime per un video musicale e un documentario rinvenuto nei sui suoi hard disk. Il 26 dicembre 2013, Karimi viene rilasciato su cauzione. Tra marzo 2014 e settembre 2015, il regista si presenta in tribunale otto volte per fornire le prove in sua difesa. Il 22 settembre, il giorno dopo il suo trentesimo compleanno, viene condannato a due anni di carcere e 90 frustate con l’accusa di “aver insultato l’Islam”. Il 13 ottobre il suo avvocato riceve una lettera ufficiale nella quale, invece, la sentenza è di 6 anni di detenzione e 223 frustate.
L’accusa a suo carico si basa su un documentario intitolato “Scrivere sulla città” – mai proiettato e di cui si trova on line solo il trailer – che racconta dei graffiti sui muri di Teheran dalla rivoluzione islamica del 1979 alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad nel 2009.
Iran Human Rights Italia