In occasione della Giornata internazionale dei Diritti Umani, Iran Human Rights Italia rileva che il bilancio sulle violazioni dei diritti umani in Iran resta drammatico e preoccupante.
Nonostante gli accordi sul nucleare di Vienna, l’abolizione delle sanzioni e un nuovo clima di dialogo e distensione nei rapporti internazionali, la Repubblica Islamica dell’Iran continua ad essere una delle peggiori prigioni al mondo per giornalisti, blogger, difensori dei diritti umani, artisti, avvocati, sindacalisti, minoranze etniche e religiose. Oltre a conservare il terribile primato – secondo solo alla Cina – di paese con maggior numero di esecuzioni capitali (969 solo nel 2015).
Dal 23 novembre 2016 è in carcere il giovane cineasta di origini curde Keywan Karimi. Nella prigione di Evin, a Teheran, dovrà scontare la sentenza definitiva, emessa il 21 febbraio dalla Corte d’appello, a un anno di detenzione e 223 frustate, incriminato per il suo cinema impegnato e per aver esercitato il suo diritto alla libertà di espressione.
I fratelli Rajabian, il musicista Mehdi e il regista Hossein, stanno scontando una condanna a tre anni detenzione, giudicati colpevoli nell’aprile del 2015 di “aver offeso le figure sacre dell’Islam” e di “attività audiovisive illegali”. Sono in carcere dal 4 giugno del 2016.
Durissima e confermata in appello la sentenza contro Narges Mohammadi, 44 anni, una delle più importanti attiviste per i diritti civili in Iran: la donna è stata condannata a 16 anni di detenzione. Avvocata e vicedirettore dell’associazione Centro per i Difensori dei Diritti Umani (messa al bando), nonché uno dei fondatori del gruppo Passo dopo passo per fermare la pena di morte (LEGAM), Mohammadi è nuovamente in carcere dal 5 maggio 2015, accusata di crimini contro la sicurezza nazionale: “propaganda contro il sistema”, “assemblea e collusione contro la sicurezza nazionale” e creazione del gruppo LEGAM, ritenuto “illegale e contro la sicurezza”.
Nella prigione di Evin a Teheran si trova dal 26 novembre 2016 anche la giovane attivista Atena Daemi, 29 anni, arrestata nella sua abitazione da agenti della Guardia Rivoluzionaria. Nel maggio del 2015 Atena Daemi è stata condannata a 14 anni di reclusione, accusata di “assemblea e collusione contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro lo Stato”, “insulto alla Guida Suprema e alle istituzioni sacre” e “falsa testimonianza”. Daemi aveva respinto ogni accusa e aveva fatto appello contro la decisione del giudice. Nel settembre 2016 la condanna iniziale è stata ridotta a 7 anni di detenzione.
La scrittrice ed attivista per i diritti umani Golrokh Ebrahimi Iraee è stata arrestata il 24 ottobre 2016, durante un’irruzione nella sua abitazione e condotta in carcere dove sconterà 6 anni di carcere. Golrokh Ebrahimi Iraee è stata condannata unicamente per aver scritto un racconto, inedito, sulla lapidazione. In carcere si trova anche suo marito Arash Sadeghi che sta scontando una condanna a 15 anni di detenzione.
Attualmente nelle carceri iraniane sono detenuti più di trenta giornalisti.
E’ auspicabile che i recenti eventi storico-politici, e soprattutto la fine delle sanzioni, rappresentino per il popolo iraniano la fine dell’isolamento e l’inizio di una nuova era. Ma tutto questo non può avvenire davvero fino a quando la Repubblica Islamica dell’Iran continuerà a limitare e negare i diritti fondamentali dei suoi cittadini, a reprimere la libertà di pensiero e a mettere a morte ogni anno centinaia di prigionieri.