Nel 2015 record di esecuzioni in Iran: con 969 persone messe a morte, la Repubblica Islamica dell’Iran ha fatto registrare un aumento della pena capitale del 29 per cento rispetto al 2014. 638 le persone messe a morte per reati di droga, 207 per omicidio. 57 i detenuti impiccati in pubblico. Al patibolo anche tre rei minorenni e 19 donne. Questi in sintesi i dati emersi dall’ottavo rapporto sulla pena di morte in Iran curato dall’organizzazione per i diritti umani Iran Human Rights (IHR) e presentato oggi, 11 marzo, a Roma.
L’anno appena trascorso è stato il più buio della storia dell’Iran per quanto concerne il numero di esecuzioni. In media sono state impiccate dalle due alle tre persone al giorno, con un picco di 139 persone messe a morte nel solo mese di giugno (più di quattro esecuzioni al giorno). Nonostante sia l’apparato giudiziario a comminare e applicare la pena di morte, né il presidente Rouhani né i membri del suo governo hanno espresso alcun disappunto circa il grande numero di esecuzioni. Anzi, sotto la presidenza Rouhani le esecuzioni sono aumentate. Da una comparazione tra i due anni e mezzo precedenti all’elezione di Hassan Rouhani e i due anni e mezzo successivi, emerge un incremento del 44% delle persone messe a morte.
Il numero di reati punibili con la pena di morte in Iran è uno dei più alti al mondo. Accuse quali l’adulterio, l’incesto, lo stupro, gli insulti al profeta Maometto e ad altri grandi profeti, il possesso o la vendita di sostanze illecite, la quarta condanna per furto, l’omicidio premeditato, il reato di Moharebeh (dichiarare guerra a Dio), di ifsad-fil-arz (corruzione sulla terra), la truffa e il traffico di esseri umani, sono tutti crimini punibili con la pena capitale.
Il rapporto pone particolare attenzione alle esecuzioni per reati di droga che rappresentano il 66% del totale. IHR ha sottolineato che nonostante le autorità iraniane abbiano più volte ammesso che le esecuzioni non hanno avuto un effetto deterrente sul traffico di droga e che i problemi legati alla droga sono aumentati nonostante le esecuzioni di centinaia di persone, il boia continua a mettere a morte, a ritmo incessante, prigionieri condannati per crimini legati alla droga. Tutto questo avviene con la complicità dei paesi che finanziano i programmi dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e per la prevenzione del crimine, che negli anni passati avrebbero sostenuto con più di 14,9 milioni di dollari le violente operazioni iraniane per il rispetto della legge che hanno portato direttamente a delle condanne capitali.
I dati del Rapporto annuale sulla pena di morte in Iran 2015 dimostrano che anche se in seguito all’accordo di Vienna sul nucleare le sanzioni economiche sono state cancellate, il dialogo tra i governi europei e Teheran è ripreso e centinaia di aziende stanno riallacciando i rapporti commerciali con il Paese degli ayatollah, la pena di morte continua ad essere applicata in modo massiccio su tutto il territorio iraniano. “L’Europa e le aziende europee non possono rimanere in silenzio davanti al record terrificante di esecuzioni capitali in Iran. L’incremento delle relazioni commerciali con le autorità iraniane deve essere subordinato alla limitazione della pena di morte. Il rafforzamento della posizione abolizionista all’interno della società civile e il bisogno dell’Iran di investimenti stranieri forniscono una rara opportunità di contribuire alla limitazione dell’utilizzo della pena di morte e alla promozione dei diritti umani in Iran”, ha detto Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce internazionale di Iran Human Rights.
Una buona notizia. Sempre più persone hanno scelto il “perdono”, cioè la possibilità per le fami- glie delle vittime di omicidio di perdonare l’assassino e di far decadere, così, la legge del taglione (qisas). Secondo i dati raccolti da IHR, nel 2015 i casi in cui si è scelto il perdono sono 262, a fronte dei 207 casi di condanne per omicidio per i quali è stata applicata la legge del taglione.
Altre violazioni dei diritti umani. Durante la conferenza stampa di presentazione del Rapporto sulla pena di morte in Iran 2015 è stata analizzata a più ampio spettro la situazione dei diritti umani in Iran. Le notizie che arrivano dai gruppi per i diritti umani e dalle organizzazione per la libertà d’informazione parlano di un tentativo costante da parte delle autorità iraniane di mettere a tacere le voci di dissenso. Negli ultimi mesi, decine di giornalisti, poeti, scrittori, musicisti e attivisti sono stati perseguitati, arrestati e in alcuni casi condannati in via definitiva a pene detentive. Di recente Nikan Khosravi e Arash Ilkhani, componenti del gruppo musicale Confess sono stati arrestati dalle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Dopo essere stati rilasciati su cauzione, sono ora in attesa del processo. Le accuse a loro carico sono di “propaganda contro il regime e insulti alle istituzioni sacre” per aver formato un gruppo musicale underground e diffuso musica illegale in stile metal/ rock, per aver scritto brani contro la religione, atei e anarchici, e per aver rilasciato interviste a ra- dio straniere. Iran Human Rights Italia ha anche ricordato la mobilitazione per il regista Keywan Karimi che a fine febbraio è stato condannato in via definitiva a 1 anno di carcere, 223 frustate e al pagamento di una multa di circa 600 euro con l’accusa di “insulto al sacro” per il suo film “Writing on the city”. Restano in carcere il giornalista riformista Isa Saharkhiz, arrestato nuovamente il 2 novembre, accusato di “atti contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro lo stato” per i suoi articoli; il blogger Hossein Ronaghi Maleki, che sta scontando 13 anni di carcere per i suoi post e per le sue attività per i diritti umani e che ora versa in gravissime condizioni di salute. Non meno preoccupanti sono le condizioni di salute di Narges Mohammadi, una delle più importanti attiviste per i diritti civili e vicedirettore dell’associazione messa al bando Centro per i difensori dei diritti umani, nonché uno dei fondatori del gruppo della società civile Passo dopo passo per fermare la pena di morte (LEGAM). Mohammadi è nuovamente in carcere dal 5 maggio 2015, accusata di crimini contro la sicurezza nazionale. Resta in prigione anche la giovane vignettista Atena Far- ghadani, condannata a 12 anni e nove mesi di detenzione per le sue vignette.
“ Solo qualche mese fa abbiamo avuto modo di vedere come l’Italia ha accolto il presidente irania- no Hassan Rouhani. Le istituzioni e le aziende italiane hanno dato il via a una nuova fase di collaborazione con Teheran, ma nel dialogo tra Italia e Iran i diritti umani non trovano spazio. E’ au- spicabile che la fine delle sanzioni rappresenti per il popolo iraniano la fine dell’isolamento e l’inizio di una nuova era – sottolinea Cristina Annunziata, presidente di Iran Human Rights Italia (IHRI). Ma tutto questo non può avvenire davvero fino a quando la Repubblica Islamica continuerà a limitare e negare i diritti fondamentali dei suoi cittadini, a reprimere la libertà di pensiero e a mettere a morte ogni anno centinaia di prigionieri”, conclude Annunziata.